MaliMali

Pil pro capite
824,52 USD (2017)

Aspettativa di vita
53,9 anni uomini, 57,7 donne (2016)

Paesi che si possono visitare senza bisogno di visto
54, è al 87° posto (2019)

Global Peace Index
145° su 163 stati (2019). Il paese meno pacifico (163°) è l’Afghanistan

Freedom Index
44/100; stato parzialmente libero

Indice di percezione della corruzione
32/100; al 120° posto su 180 paesi

Popolazione e governo

Il Mali è uno Stato dell’Africa occidentale situato all’interno e senza sbocchi sul mare. Il suo territorio, per la maggior parte pianeggiante, è costituito al nord dal deserto, al sud dalla savana. Il Mali possiede una storia ricca e relativamente conosciuta. Il suo territorio è stato sede di tre grandi imperi: l’Impero del Ghana, l’Impero del Mali e l’Impero Songhai.

I francesi iniziarono la colonizzazione del suo territorio nel 1864 e nel 1895 venne integrato nell’Africa Occidentale Francese con il nome di Sudan francese. La Repubblica Sudanese e il Senegal proclamarono la loro indipendenza dalla Francia nel 1960 con il nome di Federazione del Mali. Alcuni mesi dopo, il Senegal si separò e la Repubblica Sudanese prese il nome di Mali e fu eletto primo presidente della nazione Modibo Keïta, che in poco tempo instaurò un regime con partito unico, di orientamento marxista. Nel 1968 Keita fu deposto con un sanguinoso colpo di Stato militare che portò al potere Moussa Traoré.

Soltanto nel 1991 Traoré fu spodestato da un altro colpo di stato, ma i militari, anziché prendere le redini del paese, decisero di formare un governo di transizione civile che portò nel 1992 alle prime elezioni democratiche, con Alpha Oumar Konaré eletto presidente. Dopo la sua rielezione nel 1997, Konaré continuò le riforme politiche ed economiche, lottando contro la corruzione. Alla fine del suo secondo mandato, limite costituzionale per un presidente, fu sostituito nel 2002 da Amadou Toumani Touré che venne rieletto nel 2007.

A partire dall’autunno del 2008 si sono riacutizzate le tensioni nel nord del paese tra il gruppo etnico Tuareg (accusato di sostenere la ribellione ancora latente nella regione di Kidal, al confine con quella di Gao) e le etnie maggioritarie nel paese. Violenze e intimidazioni contro elementi Tuareg da parte di ex miliziani filo-governativi si sono ripetute senza che le autorità intervenissero a difesa delle vittime.

Il 3 aprile 2011 il presidente Amadou Toumani Touré, dopo le dimissioni di Modibo Sidibe e di tutta l’équipe governativa, ha nominato capo del governo Cissé Mariam Kaïdama Sidibé, prima donna della storia a ricoprire tale incarico in Mali. Da allora in avanti continuano colpi di stato e guerra civile, con pesanti interventi anche da parte di forze occidentali, in particolare della Francia.

In base alla costituzione del 1992, il Mali è una repubblica parlamentare, con regime semipresidenziale. La pena di morte è stata sospesa nel 2002. La popolazione è in maggioranza musulmana (80%, in maggioranza sunniti), con un presenza di animisti (18%) e di cristiani (1%). Le principali etnie del Mali sono Bambara, Bozo, Dogon, Malinke (Miniaka), Sarakollé (Soninke), Songhai (Senoufou), Tuareg.

Situazione dei diritti umani

La situazione dei diritti umani del Mali si è gravemente deteriorata nel 2018 a causa degli attacchi dei gruppi islamici armati contro i civili. Inoltre l’esercito ha commesso atrocità durante le operazioni di antiterrorismo e la violenza intercomunitaria ha ucciso centinaia di persone.

Il processo di pace avviato per porre fine alla crisi politico-militare del 2012-2013 ha compiuto solo piccoli progressi, anche in materia di disarmo e ripristino dell’autorità statale. Durante il 2018, almeno 300 civili sono stati uccisi in oltre 100 episodi di violenza comunitaria nel Mali centrale e settentrionale. La violenza ha contrapposto gruppi di autodifesa etnicamente allineati contro le comunità accusate di sostenere gruppi armati islamisti, provocando il saccheggio e la distruzione di dozzine di villaggi e l’esodo forzato di decine di migliaia di persone.

A settembre, il presidente Ibrahim Boubacar Keita ha prestato giuramento per un secondo mandato dopo aver vinto le elezioni compromesse da una forte insicurezza, accuse di irregolarità e violazioni dei diritti, tra cui il divieto di manifestare e la chiusura di una stazione radio locale. Sono stati fatti pochi sforzi per garantire giustizia alle vittime di abusi e le istituzioni statali sono rimaste deboli. Le agenzie umanitarie hanno subito decine di attacchi, soprattutto da parte di banditi, che hanno compromesso la loro capacità di fornire aiuti.

La rivalità tra i cacciatori Dogon e i pastori Fulani per l’accaparramento delle terre ha visto un’escalation, con attacchi reciproci. La violenza intertribale si inserisce in una regione che già vede attivi gruppi jihadisti, che hanno sfruttato le rivalità etniche per incrementare il reclutamento, mentre il governo ha progressivamente perso il controllo del centro-nord.

La coltivazione di cotone

Il Mali, insieme al Burkina Faso, al Chad e al Benin, è tra i maggiori produttori ed esportatori di cotone dell’Africa. In Mali, come in altri Paesi, la rapida crescita della produzione è stata accompagnata da un abbassamento del prezzo del cotone (da 3 dollari al chilo a 0.80 dollari al chilo tra il 1980 e il 2001). Inoltre, mentre la produzione negli altri paesi esportatori (soprattutto negli Stati Uniti, in Cina e in Europa) è generalmente sostenuta da sussidi statali, gli stati africani non hanno adottato tali misure, facendo ricadere gli effetti negativi delle oscillazioni dei prezzi direttamente sui produttori. La crescente povertà nelle zone rurali ha determinato un aumento dell’indebitamento degli agricoltori e una maggiore insicurezza alimentare, con effetti disastrosi anche sull’accesso ad altri diritti, quali l’educazione e la salute. Le politiche di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato del cotone hanno esacerbato le difficili condizioni di vita dei coltivatori e li hanno esposti a rischi maggiori: l’impossibilità per i piccoli produttori di accedere a forme di credito affidabili al di fuori della filiera del cotone e la mancanza di alternative lavorative alla coltivazione dell’“oro bianco” ha portato in molti casi gli agricoltori a vendere gran parte delle loro proprietà o a vedere i loro beni requisiti dalle grandi società o dai loro intermediari o, infine, a lasciare il paese alla ricerca di nuove opportunità.

A Blendio per esempio il 99% degli abitanti coltiva il cotone per la Compagnia Malienne pour le Développement du Textile (CMDT), la società tessile del Mali. Nonostante la coltivazione e l’esportazione di questo prodotto sia fra le maggiori fonti di reddito del paese, la sua produzione è affidata quasi esclusivamente a piccoli coltivatori e alle loro famiglie, che lavorano piccoli appezzamenti con risorse e strumenti limitati: la coltivazione e il raccolto sono strettamente legati alla stagione delle piogge poiché mancano di sistemi di irrigazione artificiali e i contadini generalmente utilizzano mezzi a trazione animale. La maggior parte dei coltivatori, date la variazione del prezzo del cotone e la discontinuità delle piogge che rende incerto il raccolto, alla fine dell’anno accumula con la società più debiti che crediti. I coltivatori hanno organizzato diverse manifestazioni per opporsi a questa situazione, ma con scarsi risultati. La CMDT, sostenuta dalle forze dell’ordine, reagisce reprimendo le proteste con violenza. La coltivazione del cotone è fra le pochissime opportunità di lavoro a Blendio, ma sta riducendo alla fame la maggior parte delle famiglie e la capacità di mobilitazione dei contadini si scontra con una compagnia da anni in crisi, che si barcamena in faticosi e osteggiati percorsi di privatizzazione nel tentativo di garantire un aumento della produzione che difficilmente favorirà i coltivatori.

Migrazioni forzate

Secondo la Ong CARE International, la situazione nel paese presenta dei dati estremamente preoccupanti: 4 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, 52.000 persone sfollate all’interno dei confini del Mali, 141.000 rifugiati, 525.000 persone a rischio di insicurezza alimentare, 496.000 bambini sotto i 5 anni a rischio di malnutrizione.

Per queste e le altre ragioni sopra elencate, i cittadini maliani continuano a lasciare il loro paese per raggiungere altri paesi africani o – quando riescono – l’Europa. In Italia ad esempio negli ultimi anni sono state numerose le richieste di protezione da parte di maliani: 6.438 nel 2016 (ottava nazionalità), 7.757 nel 2017 (ottava nazionalità), 2.266 nel 2018 (sesta nazionalità). Tra di essi numerosi hanno ottenuto qualche forma di protezione: umanitaria nella maggior parte dei casi (23% nel 2016, 29% nel 2017 e 22% nel 2018), ma anche internazionale (33% nel 2016, 15% nel 2017 e 11% nel 2018).

Per approfondire

A Sud, Crisi ambientali e migrazioni forzate, 2016

CARE International, Suffering In Silence. The 10 most under-reported humanitarian crises of 2017, 2018

Human Rights Watch, Mali, Events of 2018, (2019)