SomaliaSomalia

Pil pro capite
499,82 USD (2017)

Aspettativa di vita
50,3 anni uomini, 54,5 donne (2016)

Paesi che si possono visitare senza bisogno di visto
31 (104° posto nel mondo nel 2019)

Global Terrorism Index
4 posto dopo Afghanistan, Iraq e Nigeria. Indice che registra l’impatto diretto e indiretto del terrorismo sulla vita dei civili (uccisioni, incidenti, numero dei feriti, distruzione delle proprietà, danno psicologico sulla popolazione, instabilità politica e delle istituzioni).

Fragile States index
2 posto nella lista degli Stati che si caratterizzano “fragili” sulla base degli indicatori della pressione demografica e della convivenza intercomunitaria, della presenza di sfollati interni, corruzione, disuguaglianza economica, delegittimazione dello stato, sospensione e arbitraria applicazione della legge, ingerenze esterne sulla politica di governo, deterioramento dei servizi pubblici, abusi contro i civili da parte dell’esercito e delle forze di sicurezza.

Indice di percezione della corruzione
180 su 180

Popolazione e legislazione

La Somalia è indipendente dal 1960, dopo 10 anni di amministrazione fiduciaria concessa dall’Italia.

Il governo è provvisorio; il parlamento e il Presidente non sono eletti con voto a suffragio universale: motivi di sicurezza nazionale hanno impedito lo svolgimento di libere elezioni. L’attuale  presidente Mohamed Abdullahi Mohamed detto Farmajo è stato eletto nel 2017 dai 328 membri del Parlamento Federale della Somalia. I membri del parlamento sono stati eletti nelle elezioni parlamentari del 2016, le quali sono state limitate a 14.025 delegati appoggiati dagli anziani dei clan.

Il costo delle elezioni del 2017 è stato finanziato al 60% da paesi donatori in Europa, Stati Uniti e Giappone, mentre il resto venne finanziato dal governo somalo e dalla tassa di registrazione dei candidati. La Costituzione provvisoria della Repubblica federale di Somalia sancisce il principio dello Stato di diritto (articolo 3, paragrafo 4) e colloca la Sharia islamica in posizione più elevata, nella gerarchia giuridica, rispetto alla stessa Costituzione (articolo 4, paragrafo 1).

Con il crollo dell’amministrazione nel 1991 (Caduta di Siad Barre), nella maggior parte del territorio somalo è cessata l’applicazione del diritto statuale laico.

La Sharia è stata recepita come legislazione nazionale per effetto di un disegno di legge parlamentare nel 2009. Oggi le diverse comunità in Somalia applicano sistemi di leggi diversi, basati sulla legge tradizionale (xeer) e consuetudinaria, sulla Sharia, sulla legislazione risalente al periodo dell’indipendenza (prima di Siad Barre) e/o sulla legislazione del periodo di Siad Barre (1969-1991).

Migrazioni forzate

Tra i motivi della migrazione forzata vi è la persecuzione dei civili da parte del gruppo terroristico Al Shabab di: arruolamento forzato degli uomini, matrimonio forzato delle donne oggetto di violenze e stupri, persecuzione di giornalisti, di persone che collaborano a vario titolo con il governo e le agenzie dello stato come pure il personale di ONG. Ancora a fuggire dalla Somalia sono i membri dei clan minoritari che subiscono discriminazione economica, sociale, politica.

Al Shabab dispone di un apparato di intelligence capace di pianificare attentati in Somalia e all’estero. Al Shabab utilizza la coercizione, l’intimidazione e la violenza per raccogliere informazioni costringendo i cittadini a cooperare per paura di essere uccisi.  Gli obiettivi di Al Shabab sono: gli ufficiali di governo, parlamentari, personale dello staff UN, personale locale delle ONG e le loro famiglie, uomini d’affari, oppositori e civili che si sottraggono all’arruolamento forzato e alle tassazioni imposte da Al Shabab. Al Shabab utilizza la rete dei clan per reclutare informatori che spesso sono parenti o amici degli individui sospettati. Al Shabab usa tecniche di sorveglianza attraverso le reti informali.

UNHCR chiarisce il divieto di refoulement dei richiedenti asilo somali nella Somalia centrale e meridionale dove la situazione generale di sicurezza rimane fragile anche a Mogadiscio.

Diversi attori sono implicati nel conflitto: Al Shabab e le milizie legate ai clan. Le forze di sicurezza dello stato, le truppe AMISOM e le milizie legate ai clan continuano a essere responsabili di gravi violazioni dei diritti umani tra i quali rapimenti e sparizioni, stupri e altre forme di violenza sessuale e di sfruttamento sessuale.

La polizia e le forze di sicurezza non hanno la capacità di mantenere la pace e l’ordine pubblico. Le autorità civili non riescono a mantenere un controllo effettivo sulle forze di sicurezza. Ufficiali di polizia e dell’esercito sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani tra le quali uccisioni extragiudiziali, stupri e estorsioni a danno dei civili.  La polizia e le forze di sicurezza commettono abusi nell’impunità. Il sistema di giustizia è fallimentare a prevenire, investigare in merito agli incidenti e alle violazioni dei diritti umani. Il sistema di giustizia non funziona nella maggior parte del paese.

Al Shabab costituisce la maggiore minaccia alla pace e alla sicurezza nel conflitto contro le Somali National Armed Forces (SNAF) e le truppe dell African Union Mission in Somalia (AMISOM).

UNHCR esprime preoccupazione per l’elevato numero di espulsioni – che l’Agenzia ha potuto osservare – verso la Somalia centrale e meridionale. Dal dicembre 2013 oltre 34.000 somali sono stati espulsi in Somalia da diversi Paesi, spesso nel contesto di operazioni volte a contrastare le migrazioni irregolari. La maggior parte delle persone espulse è rappresentata da giovani uomini e donne somali, benché in un certo numero di casi siano stati espulsi anche minori e anziani. Si segnalano inoltre molte famiglie divise. Molti di coloro che sono stati espulsi si sono trovati a Mogadiscio in una situazione paragonabile a quella degli sfollati interni. Tra le persone forzatamente rimpatriate ci sono stati casi confermati di rifugiati e richiedenti asilo registrati; il loro rimpatrio corrisponde a refoulement. UNHCR esorta gli Stati ad astenersi dall’eseguire rimpatri forzati verso aree della Somalia centrale e meridionale che sono esposte ad azioni militari e/o ai conseguenti sfollamenti interni, che continuano ad essere instabili ed insicure in seguito a recenti azioni militari o che rimangono sotto il controllo di gruppi non statuali. Per i somali provenienti da queste aree va considerata l’eleggibilità per la protezione internazionale riconosciuta ai rifugiati ai sensi della Convenzione del 1951″.

Le forze del governo sono esse stesse una fonte di insicurezza. Le agenzie di sicurezza come la polizia e i servizi di intelligence sono essi stessi infiltrati da criminali comuni, elementi radicali e eversivi. Ad esempio a gennaio 2013 nell’attacco suicida di Villa Somalia a Mogadiscio dove vive il presidente e il primo ministro, l’autore dell’attentato è un militante precedentemente impiegato nell’intelligence somala.

In Italia

Nel 2018 le Commissioni territoriali in Italia hanno esaminato 1252 richieste di protezione internazionale: il 45% si sono concluse con il riconoscimento dello status di rifugiato; il 41% con la protezione sussidiaria, il 3% con la protezione umanitaria. Nello stesso anno l’equipe legale di CIAC Onlus ha seguito 12 procedure di riconoscimento della protezione internazionale che si sono concluse con il riconoscimento dello status di rifugiato (10) e della protezione sussidiaria (2).

In mancanza di canali regolari di ingresso in Italia nonché dei corridoi umanitari a protezione dei profughi, i richiedenti asilo somali sono costretti a raggiungere l’Europa tramite la rotta via terra che dal Kenya e dal Sudan porta in Libia. La rotta si caratterizza per la violenza dei trafficanti somali e sudanesi che di fatto riducono i profughi in schiavitù che vengono venduti di volta in volta da un trafficante all’altro. Nella rotta si registrano violenze come la tortura, stupri e espianti di organi al fine del commercio illegale. Si riporta lo stralcio di una memoria:

“Appena superato il confine il trafficante somalo mi ha affidato ai trafficanti kenyoti. È iniziato un incubo. I trafficanti mi hanno sequestrato e imprigionato in un edificio molto grande circondato da un muro, suddiviso in stanze adibite a celle della prigione …la notte il carceriere è venuto a dirci che eravamo stati rapiti e che dovevamo pagare un riscatto di tre mila dollari. Arrivati a Khartum i trafficanti ci hanno affidati a altri trafficanti che ci hanno sequestrati e imprigionati …. I sequestratori erano armati e ci chiedevano soldi come riscatto, mi chiedevano di contattare la mia famiglia e di chiedere loro soldi per il riscatto. Dopo circa un mese ci hanno caricati su un camion, eravamo circa trenta persone tra somali, etiopi e eritrei. Non ci hanno detto nulla. Abbiamo iniziato il viaggio e il giorno successivo siamo arrivati in prossimità del deserto … qui i trafficanti ci hanno detto che iniziava il viaggio in Libia. Una volta arrivati in Libia dovevamo pagare 6 mila dollari …  dopo una settimana abbiamo raggiunto il confine con la Libia. I trafficanti sudanesi ci hanno affidato ai trafficanti libici. Dopo due giorni siamo arrivati a Tripoli. Ci hanno sistemato in una zona montagnosa vicino alla capitale. Ci hanno chiusi in una casa. Il trafficante mi ha detto di dargli il numero della mia famiglia in Somalia. Gli ho dato il numero di mio cugino. La mia famiglia non ha richiamato. Ogni mattina venivamo sistemati all’aperto; ci legavano e versavano acqua gelida sul corpo e venivamo colpiti con dei tubi di plastica; ci picchiavano tirandoci calci. Ci costringevano, legati, a tenere la testa e il busto dentro a una fossa scavata nella terra per alcuni minuti durante i quali non potevo respirare. Dopo la punizione venivamo slegati e ributtati nella cella. A volte i torturatori tornavano anche durante il giorno e la sera. Spesso erano ubriachi e drogati. Il decimo giorno di prigionia mio cugino ha risposto. Ho parlato con mio cugino Ali e gli ho spiegato che ero prigioniero e che dovevo pagare un riscatto di 6 mila dollari. Dopo meno di un minuto il trafficante somalo ha preso il telefono e ha minacciato mio cugino dicendo che se non avessero pagato mi avrebbero ammazzato. Dopo due mesi e 25 giorni una guardia mi ha spostato nella parte della prigione riservata a chi aveva pagato il riscatto senza che mi venisse spiegato nulla sulla trattativa tra i trafficanti e la mia famiglia”. 

Sulla condizione dei rifugiati somali nei centri di detenzione per migranti in Libia si rimanda Sentenza Corte di Assise di Milano n. 10/17 del 10 ottobre-1 dicembre 2017 con la quale la Corte condanna un cittadino somalo all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni  nonché al risarcimento dei danni per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dalla morte dei sequestrati, violenza sessuale pluriaggravata, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato. In attesa del versamento (tramite il sistema fiduciario della hawala) i migranti erano stati privati della libertà, reclusi nei campi, dove l’imputato e i gestori sottoponevano i migranti a privazioni di cibo e cure, a ripetute percosse con bastoni, spranghe e cavi, a torture con plastica fusa o scariche elettriche o a deliberata disidratazione; e le donne, comprese ragazze giovanissime, a ripetute violenze sessuali, anche legandole o provocando loro gravi lesioni a causa della pregressa infibulazione.

Per approfondire

EASO, Rapporto COI Somalia centrale e meridionale La situazione nel paese: una sintesi

Posizione UNHCR sui Rimpatri forzati in Somalia centrale e meridionale – Giugno 2014

UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), International Protection Considerations with Regard to people fleeing Southern and Central Somalia, 17 January 2014  

Institute for Security Studies, “Radicalisation and al-Shabaab recruitment in Somalia” di Anneli Botha e Mahdi Abdile – ISS PAPER 266 | SEPTEMBER 2014

Questione Giustizia, Campi libici, l’inferno nel deserto. La sentenza della Corte di assise di Milano