SALAH

39 anni, Iran

Sono curdo iraniano in Italia dal 2012.
Parlo curdo e persiano perfetto. L’arabo e l’inglese li ho studiati a scuola e parlo anche italiano.

Dove vivevo c’erano persiani e turchi per questo parlo anche queste lingue.
Le lingue che parlo vengono parlate in Afganistan, Tagikistan, Turchia, Siria, Irak, Iran.

Vengo da Sanandaj, una città molto antica circondata da alte montagne, attraversata, come Parma, da un fiume.

In Iran ero attivista in un gruppo politico di sinistra che contrastava il governo con diverse azioni, per sensibilizzare la popolazione.
L’Iran è una teocrazia e noi lottavamo per il femminismo, i diritti e la libertà.
Per me i loro valori sono ridicoli, i giovani vogliono superare le tradizioni per raggiungere una maggiore consapevolezza.

A causa del mio attivismo e delle mie origini curde, sono dovuto scappare. In Iran ci è proibito ricoprire ruoli di potere. Noi curdi non abbiamo gli stessi diritti dei persiani.

All’inizio in Italia non è stato semplice; la mia mentalità era diversa da quella delle altre persone del centro d’accoglienza dove sono stato rinchiuso.

Ad un certo punto ho sentito la necessità di prendere in mano la mia vita, ho deciso di impegnarmi, studiando la lingua italiana per poi lavorare e inserirmi.

Ho avuto la fortuna di vivere per tre anni a Parma con una famiglia italiana che ha accelerato questo processo. Sono rimasto molto legato a loro, ci vediamo e ci sentiamo spesso. Mi hanno insegnato tante cose, e anche loro hanno preso qualcosa da me.

Il primo lavoro che ho fatto, dopo un periodo di tirocinio e volontariato, è stato l’autista alla Caritas. Distribuivo il cibo e pulivo la mensa e qui ho iniziato a fare il mediatore culturale per le persone dei paesi di cui parlo le lingue. Dopo un po’ ho avuto l’onore di lavorare con Ciac onlus, come operatore sociale, come mediatore culturale e autista.

Status di rifugiato

Lo status di rifugiato, la più importante forma di protezione internazionale, può essere riconosciuta a un richiedente asilo sulla base della definizione contenuta nell’art. 1 della convenzione di Ginevra del 1951, dove si legge che può essere riconosciuto come rifugiato

“chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

Il rifugiato ha diritto a un permesso di soggiorno della durata di 5 anni. Può inoltre richiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni (anziché i 10 previsti per gli altri stranieri regolarmente soggiornanti) e il ricongiungimento familiare a condizioni facilitate.

Dopo il decreto sicurezza di ottobre 2018 i rifugiati sono diventati – insieme ai titolari di protezione sussidiaria– gli unici migranti a poter essere accolti nel nuovo Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi).