DIANE

34 anni, Camerun

Le mie lingue madri sono il bahouan e il bahangam, parlo anche francese e italiano.

Ho fatto l’esame di terza media. Farò presto il corso da OSS (operatore sociosanitario).
Faccio volontariato con la comunità di S. Egidio, prepariamo i pasti e li distribuiamo alla stazione.

Sono parte di Arte Migrante, un gruppo di giovani senza discriminazione. Facciamo musica, teatro e mangiamo insieme. Ognuno viene per esprimersi e condividere i suoi pensieri.

Sono nata nel piccolo paese di Dschang, sulle colline nell’ovest del Camerun.
Dschang è un posto molto tranquillo, i suoi abitanti sono molto simpatici.
Mi ricordo il vento, il sole , l’odore della terra che mi manca molto.
Era un paradiso di libertà, di verde, di frutta e di suoni nell’aria. Ci divertivamo in totale libertà.

Poi dovetti fuggire ad un matrimonio forzato, e mi trasferii nella capitale, Yaoundé, dove ho trascorso quasi tutta la mia adolescenza.

Ho lasciato il Camerun due anni fa, quando mia figlia aveva due anni. Lei è ancora là.

In Camerun non esistono i diritti umani e c’è molta violenza, c’è una guerra civile. Tante donne e bambini sono costretti a dormire nella foresta, perché hanno paura di essere bruciati vivi nelle case.

Fare studiare i figli a costo di enormi sacrifici si rivela inutile, perché poi non trovano un lavoro. Siamo stanchi, prendiamo una barca, rischiamo la vita per cercare il nostro futuro. Anch’io non potevo fare a meno di partire.

Sono come un leone che combatte ogni giorno e non si lascia andare, alza la testa e dice: “Comando io in questa foresta!”
La discriminazione sessuale mi ha spinta a lasciare il mio paese.

La mia vita è ripartita da zero qui in Italia, non è stato facile. Ho deciso, non di cambiare la mia vita sessuale ma, di cambiare per mia figlia, per darle un futuro migliore.
Desidero ritrovare l’amore, perché senza amore non si può vivere e desidero anche costruire una famiglia con la mia bambina e la ragazza che mi accetterà per quello che sono.

Status di rifugiato

Lo status di rifugiato, la più importante forma di protezione internazionale, può essere riconosciuta a un richiedente asilo sulla base della definizione contenuta nell’art. 1 della convenzione di Ginevra del 1951, dove si legge che può essere riconosciuto come rifugiato

“chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

Il rifugiato ha diritto a un permesso di soggiorno della durata di 5 anni. Può inoltre richiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni (anziché i 10 previsti per gli altri stranieri regolarmente soggiornanti) e il ricongiungimento familiare a condizioni facilitate.

Dopo il decreto sicurezza di ottobre 2018 i rifugiati sono diventati – insieme ai titolari di protezione sussidiaria– gli unici migranti a poter essere accolti nel nuovo Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi).