La mia lingua madre è il beti, parlo francese e anche italiano.
Sono molto preoccupata per la commissione che deciderà per i miei documenti e per Salvini.
Ho paura di tante cose.
Sono nata a Douala, la più grande città del Camerun. È una città molto sporca, ci vivono tantissime persone. Solo la Piazza del Presidente è pulita.
La mia è una famiglia mista. Il papà mussulmano del nord e la mamma cristiana del centro, ho quattro sorelle più piccole.
A trent’anni sono andata via. Prima sono andata un po’ a scuola, ma se non fai parte di una famiglia che ha terre o soldi, non riesci a riscattarti. Se non hai niente non fai niente. Se non hai niente non esisti. Se non hai niente non vali niente.
Qui in Italia ho iniziato a lasciarmi andare. Piano piano ho iniziato ad andare. Mi hanno aiutata a liberarmi dei miei brutti pensieri. Ho fatto il corso di OSS (operatore sociosanitario) e ne sono molto orgogliosa.
In Italia sono sbarcata in Sicilia, poi mi hanno mandata a Bologna, a Parma e poi a Baganzola.
A Baganzola c’erano le mosche! Nella nostra testa, qui in Europa, non ci sono né mosche né zanzare, e neanche i campi coltivati, il mais. “Ma siete sicuri di non avermi riportato in Africa?” chiesi ad un operatore.
L’incontro più importante della mia vita è stato mio marito. È morto in mare durante il viaggio.
Amo molto gli altri, mi identifico in loro. Qui, a casa anche se sono ospite, faccio le cose come se fosse casa mia. Gli altri non sempre capiscono questa mia generosità.
Mio desiderio è quello di essere riconosciuta per quello che sono, non per quello che ho. Ho paura di ricominciare una storia con un uomo.
Vorrei far venire qui i miei tre bambini, di 10, 7 e 4 anni e poi avere i documenti.