riso

La fantasia orientale ha creato molteplici leggende che vedono il riso quasi sempre come un dono delle potenze sovrannaturali. Una di queste narra che il dio Shiva creò un giorno una vergine tanto bella da chiamarla Retna Dumilla, cioè gioiello splendente; se ne innamorò e volle sposarla ma la ragazza respingeva la sua corte. Alla fine Retna acconsentì alle nozze, ma al patto che Shiva riuscisse a creare un alimento da consumarsi quotidianamente senza mai stancare. Shiva accettò ma ben presto si accorse di non riuscire a trovare un cibo che soddisfacesse quella esigenza, così un giorno la costrinse alle nozze ma Retna ne morì. Sulla tomba della ragazza, quaranta giorni dopo, spuntarono delle pianticelle di una specie mai vista a cui Shiva diete nome “pari” (riso) e nelle quali sarebbe sopravvissuta l’anima di Retna. I loro semi avrebbero generato quell’alimento che, consumato ogni giorno, non avrebbe mai stancato. 

In molte popolazioni e civiltà l’esistenza senza del riso sarebbe inconcepibile, ancora oggi, in molti paesi asiatici, è la vera “misura” del mondo, del tempo, dello spazio. Nell’isola di Madagascar, ad esempio, “il tempo che ci vuole a cuocere il riso” significa “circa mezz’ora”, e simili espressioni servono anche a indicare le distanze: un’ora di cammino è “due volte il tempo per cuocere il riso”. 

Il riso viene coltivato in Asia (Cina, India, Indonesia, Bangladesh, Tailandia, Vietnam, Birmania , Giappone, Filippine e Pakistan), in Africa (Madagascar, Egitto, Kenya, Uganda, Nigeria, Costa D’avorio, Ghana e Tanzania) e in Europa (Italia, Spagna, Russia, Portogallo, Jugoslavia, Ungheria, Romania, Grecia e Francia). 

È una graminacea del genere Oryza appartenente alla famiglia delle Oryzeae. Pianta di ciclo annuale, seminata in primavera e raccolta fra settembre e ottobre a secondo delle varietà. Il chicco è formato da una cariosside, un germe, uno strato aleuronico (detto pula) e da strati di glume (chiamate lolla). Questo cereale, appena liberato dalla spiga, si presenta come seme rivestito da membrane esterne del frutto, non commestibile né per l’uomo né per gli animali a causa dell’elevato contenuto in silice dello strato più esterno. A questo stadio viene chiamato “risone” e viene reso commestibile mediante un’operazione detta sbramatura, cioè molitura (apertura e rottura) dei rivestimenti esterni (lolla) che vengono eliminati. Si ottiene così il riso sbramato o integrale. Al termine di questa operazione si ottiene il “riso raffinato”, che contiene amido, proteine, vitamine e sali minerali, mentre la parte scartata è detta pula. Nel mondo esistono più di 140.000 differenti varietà di riso ognuna con tempi di cottura e sapore diverso.

Dal punto di vista linguistico, alcuni risologi sostengono che il nome venga da  “orysa”, dall’antico tamil “arisi”. Altri fanno invece discendere il termine “orysa” da Orissa, città della costa orientale dell’India, nel golfo del Bengala, ricca di paludi e di lagune. La pianta è originaria delle regioni dell’Asia sud orientale e grazie a ritrovamenti che risalgono a 5.000 o 6.000 anni fa in una zona della Cina orientale ed in una caverna nel Nord della Tailandia, si può stimare che venga coltivato in modo intensivo da oltre settemila anni. Chiunque abbia viaggiato nelle regioni del Sud Est Asiatico, in Cina, in alcune regioni dell’Africa, come il Madagascar e la Sierra Leone, sa bene quanto sia importante e fondamentale per quei popoli come alimento. Gli Egiziani e gli Ebrei non lo conoscevano e nemmeno la Bibbia ne fa cenno. In Italia è stato forse introdotto dagli Arabi o forse dai Veneziani. Nel mondo occidentale comincia ad essere utilizzato come alimento verso il I secolo AC. 

Nel mondo si producono 461 milioni di tonnellate di riso. Il riso è la principale risorsa di cibo per la metà della popolazione mondiale e il 90% dell’intera produzione di concentra in Asia. Dalla Cina dipendono 141 milioni di tonnellate, dalla Thailandia oltre 20 milioni, dalla Birmania 10 milioni, dalla Cambogia 4,5 milioni. 

Ma il riso non è solo il pane del Sud del Mondo: in Italia consuma riso il 95% della popolazione. L’Italia è il primo produttore di riso in Europa con circa 1,60 milioni di tonnellate su tutto il territorio che comprende circa 4200 aziende, 250.000 ettari. Questi numeri rappresentano più del 50% dell’intera produzione UE e circa lo 0,40% di quella mondiale.
Su un milione di tonnellate di riso lavorato che produciamo ne mangiamo circa un terzo. Compriamo dall’estero 70mila tonnellate, per lo più Romania e Spagna, ma anche da India e Pakistan. Esportiamo molto: 570mila tonnellate all’interno dell’Unione Europea, il resto per lo più in Svizzera.

A dispetto della necessità di poca forza lavoro, la coltivazione di riso in Italia ha bisogno di macchinari sofisticati e costosi per la gestione delle “camere”, cioè degli appezzamenti delimitati da sponde che periodicamente vengono invasi di acqua. Anche per questo motivo il riso è una delle colture maggiormente incentivate: secondo l’Ente Nazionale Risi, ogni ettaro riceve mediamente dall’Unione Europea, circa 1.000 euro l’anno all’ettaro. Per fare un paragone, per il mais l’incentivo è la metà.

Mediamente, ogni ettaro produce 60 quintali di risone. Questo viene venduto alle riserie, ovvero industrie che trasformano il riso greggio in lavorato, pronto per la commercializzazione. Il prezzo è fissato dalle borse granarie delle Camere di Commercio Provinciali di riferimento. Molto spesso tra agricoltori e riserie si inserisce la figura del mediatore, che a fronte di una percentuale garantisce acquirenti da una parte, prodotto dall’altra. Dalla riseria il riso lavorato va ai grandi marchi o alle industrie di ulteriore trasformazione.

Sulla confezione del riso, il luogo di produzione non è indicato, è descritto solo quello della lavorazione, ovvero della riseria. Spesso, le etichette non dicono esattamente quale tipo di riso è contenuto nella scatola: il carnaroli e l’arboreo, ad esempio, che sono varietà selezionate un secolo fa, oggi sono state sostituite da varietà che hanno un corredo genetico molto simile, per cui il chicco si presenta allo stesso modo. Però sono più produttive e meno buone. Il carnaroli industriale è in realtà carnac o carnite, e l’arboreo è in realtà volano. Una volta arrivato al supermercato, il riso può costare anche 3 euro al chilo, ovvero fino a 10 volte tanto quanto pagato al produttore.

Da molti anni anche in Italia si sperimentano tecniche e varietà di riso che necessitano di poca o pochissima acqua, realizzate a livello accademico o da parte di istituti di ricerca, ma anche da parte di risicoltori privati.

Si parla impropriamente di riso “in asciutta” indicando un riso sottoposto a turni di irrigazione, tecnica che negli anni ’80 e ’90 ha avuto una certa diffusione anche in areali non risicoli tradizionali. Infatti, al contrario di quel che comunemente si crede, il riso non è una pianta acquatica e la ragione principale per cui viene sommersa è per controllare le erbacce.

Il successo è stato limitato a causa di una certa dipendenza dal clima, da una necessità di acqua irrigua comunque molto rilevante e nettamente superiore a quella di altri cereali, e soprattutto, della notevole difficoltà di controllo delle erbe infestanti, da noi controllate solo tramite diserbo chimico, per motivi di costi.

Forme di risparmio idrico sono comunque state ottenute livellando meglio le camere di risaia per mantenere un’altezza dell’acqua più contenuta, o impiegando cicli produttivi più brevi e prolungando ragionevolmente le asciutte.

 

Riferimenti:

Rapporto Più riso con meno acqua, SRI – System of Rice Intensification