La mia lingua madre è l’italiano, parlo anche inglese, bene, rumeno, un po’ di spagnolo e un po’ di francese.
Rumeno perché ho fatto un anno di servizio civile internazionale in Romania.
Ho fatto relazioni internazionali a Bologna, tre anni e poi ho fatto un master all’estero di due anni, incentrato sul tema della migrazione e delle relazioni interculturali.
Ho fatto il primo anno in Germania e Norvegia e il secondo anno in Uganda.
Nei miei studi ho approfondito molto il tema delle relazioni interculturali dal punto di vista sociologico e antropologico e quindi mi sono naturalmente ritrovato a fare questo lavoro.
Inizialmente ho lavorato per pochi mesi a Modena nell’ambito dell’accoglienza Mare Nostrum, e dopo pochi mesi sono ritornato a casa a Parma dove ho cominciato a lavorare a Ciac per lo Sprar.
Nella mia vita ho avuto tante cose che mi hanno illuminato e fatto cambiare un po’ rotta;
quella più forte, forse perché la più recente, è stata un’esperienza che ho vissuto in Africa, dove ho vissuto per quasi sei mesi in un campo profughi nell’Uganda occidentale.
Questa esperienza mi ha fatto cambiare strada, nel senso che prima ero interessato a lavorare nel mondo delle organizzazioni internazionali e invece, avere questa esperienza così forte sul campo, mi ha reindirizzato verso casa.
Ho capito che non volevo costruire il mio curriculum sugli studi, ma, che volevo tornare a casa, per fare qualcosa di concreto in un territorio che conosco molto bene perché è la mia casa.
Fare questo lavoro è molto complesso se lo fai con passione, perché lavoriamo in un ambiente ostile.
Soprattutto negli ultimi anni c’è molta cattiveria, non lo definirei solo come semplice razzismo, ma proprio cattiveria, e c’è molta semplificazione, che mi fa molto arrabbiare.
Ogni settimana, se non ogni giorno, bisogna trovare nuovi stimoli e ricordarsi il motivo per cui si è voluto fare questo lavoro e fare questa scelta.